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mercoledì 27 aprile 2011

I SUMERI NON FURONO I PRIMI ARTEFICI DELLA PAROLA SCRITTA

Tra alfabeti indecifrabili e tombe egizie, le culture ataviche reclamano il loro posto nella storia

I Sumeri non furono i primi artefici della parola scritta

di: Aliena

La civiltà umana compie ufficialmente il suo ingresso nella storia attraverso la scrittura: l’utilizzo di segni fonetici o ideografici rappresenta infatti la discriminante per individuare il termine dell’era preistorica e convenzionalmente anche l’origine di quel pensiero dominante espresso nell’arte, nella religione e nella scienza fino al giorno d’oggi.
Da oltre cinquemila anni, il primato di quest’ideazione è sempre stato detenuto dalla popolazione mesopotamica che nel IV millennio a.C. prosperava nella regione meridionale dell’attuale Iraq: i Sumeri. Dall’antica città di Uruk,
infatti, provengono le famose tavolette di argilla riportanti le sequenze di segni incisi allo scopo di registrare scambi commerciali, elenchi dei tributi o editti regali, meglio noti come metodo di scrittura cuneiforme. Ma ultimamente, questa lunghissima tradizione è stata messa in discussione ed il podio millenario comincia a scricchiolare; non solo i faraoni egizi reclamano dall’oltretomba il loro posto nella storia ― ed a pieno titolo, in base alle iscrizioni scoperte presso la necropoli di Abydos dall’archeologo tedesco Gunter Dreyer, e risalenti ad alcune centinaia di anni prima delle tavolette sumere ― ma le più disparate civiltà di un remoto passato sollevano a gran voce un’affannata protesta.
E se dalla valle del Nilo tornano alla luce incisioni su placche ossee destinate ad accompagnare le merci ― una sorta di etichetta moderna ― che svelano l’antecedente elaborazione di un preciso sistema espressivo in forma scritta, dall’Estremo Oriente giungono testimonianze di segni scalfiti su ossa e gusci di tartaruga ancora più reconditi. Si tratta delle cosiddette jiaguwen o “ossa di drago” utilizzate dagli sciamani per l’interpretazione oracolare; i primi ritrovamenti ― nel villaggio di Xiaotun, in Cina ― sono risalenti al 1899 ed attestano l’esistenza della prestigiosa dinastia Shang oltreché dell’antica capitale Yinxu.
Più di recente, nel 2003 ― presso il sito di Jiahu (Henan) ― di tali iscrizioni divinatorie ne sono state scoperte alcune, racchiuse all’interno di ventiquattro tombe, la cui datazione al radiocarbonio è stata attestata intorno al VII-V millennio a.C. in corrispondenza degli albori della cultura neolitica Peiligang. Le affinità stilistiche dei segni grafici su queste ossa di drago con quelli di Xiatun sono state divulgate dai ricercatori dell’Università di Scienza e Tecnologia di Pechino [1] ed avvalorate anche da successivi studi, dimostrando così una continuità storica che precederebbe di ben duemila anni le testimonianze mesopotamiche.
La dea dell’amore Ishtar dovrà lasciare il posto alle divinità femminili venerate più anticamente nelle regioni a sud del Fiume Giallo? E Gilgamesh il leggendario re di Uruk cederà il suo scettro?
A quanto pare sì, poiché perfino nella regione sud-orientale dell’attuale Iran, in seguito all’esondazione del fiume Halil Rud nel 2001, sono riemerse a Jiroft fra necropoli e perdute rovine, iscrizioni che secondo l’archeologo iraniano Yussef Majidzadegh sarebbero appartenute alla mitica e fiorente civiltà di Aratta, anch’essa di qualche secolo più antica rispetto alla sumerica.
Mentregli studiosi s’immergono in interminabili diatribe per stabilire se davvero l’insieme di quei segni originali abbia successivamente dato luogo a veri e propri caratteri alfabetici, sillabe e fonemi, non è prematuro constatare quanto sia limitata la cognizione a disposizione sulle civiltà del passato.
Esistono ulteriori scritture arcaiche mai decifrate, di cui non è noto l’alfabeto o il linguaggio risulta del tutto incomprensibile, mancando il prezioso ed essenziale supporto di un riferimento come la Stele di Rosetta per i geroglifici egizi.
Idiomi inaccessibili, come il meroitico utilizzato in Africa del Nord nell’800 a.C. ― che non risulta avere nessuna affinità con altre lingue delle regioni sahariane ― l’etrusco, i linguaggi delle civiltà precolombiane e l’alfabeto miceneo in uso a Creta nel II millennio a.C. oltre all’indus diffuso ancor più remotamente nella Valle dell’Indo: complesse forme di scrittura, simboli, segni che per quanto si continui ad interrogare mantengono un impenetrabile silenzio. È sconosciuta anche la provenienza dei misteriosi caratteri ― ricevuti in dono da Odino secondo la leggenda ― che compongono l’alfabeto runico germanico [2]; si ipotizza una derivazione etrusca, ma alcuni simboli identici erano diffusi già in tutto il mondo indoeuropeo.
Aquanto pare il percorso a ritroso nella storia umana, sebbene in gran parte sconosciuta, è senza dubbio molto più tortuoso e vasto rispetto ai limitati parametri cui si è soliti fare riferimento; ma se come affermava Socrate nel “Fedro” di Platone, l’alfabeto “ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei” forse molte risposte andrebbero ricercate altrove...

Aliena


Note

[1]Xueqin Li, Garman Harbottle, Juzhong Zhang, Changsui Wang, The Earliest Writing? Sign Use in the Seventh Millennium BC at Jiahu, Henan Province, China, in “Antiquity”, March 2003, N. 77, pp. 31-44; Miriam T. Stark (a cura di…), Archaeology of Asia, Blackwell Publishing, Oxford 2005, p. 128.
[2]Di questi simboli sono rimasti: Ð-ð (Dh-dh) e Þ-þ (Th-th) sia nell’alfabeto islandese che in quello feringio (Fær Øer).

Link articolo: rinascita.eu

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